Nell’acceso dibattito sull’opportunità di sovraccaricare il Teatro Greco di Siracusa con una quantità di spettacoli che esula totalmente dalla sua funzione di bene archeologico (solo perché considerato una “location” di fama internazionale), non sembra volersi sottolineare abbastanza il fatto che per un evento pop, teoricamente in grado di coinvolgere anche decine di migliaia di persone, la scelta del Teatro Greco risulterebbe persino riduttiva ed antieconomica.
Al riguardo, di spazi aperti ben più adatti a raduni musicali di vario genere a Siracusa non ne mancherebbero, quindi la pretesa di ridurre un luogo aulico di memoria, prima che di rappresentazione, tramandato dall’antichità, sminuisce profondamente l’essenza culturale stessa della città tutelata dall’Unesco.
Che sia la pressione antropica o no a creare i maggiori danni al Teatro, rimane il problema che dei danni sono stati comunque riscontrati e che non ci sia solo la necessità di effettuare un importante intervento di restauro, ma anche di adottare adeguate misure per proteggere il monumento nel tempo.
D’altra parte va considerato che quello che vediamo del Teatro non è ciò che appariva nell’antichità, ma i resti strutturali dopo l’opera di spoliazione progressiva, cosa che riguarda tutte le rovine della città.
La pietra degli edifici monumentali, nell’antichità, in genere non veniva lasciata a vista, ma rivestita, anche con intonaco vivacemente colorato, permettendo alla struttura di conservarsi inalterata nel tempo.
L’esigenza primaria è in ogni caso quella di imporre una moratoria generale sull’utilizzo del Teatro, in modo da effettuare uno studio approfondito delle modalità con cui si possa applicare uno strato protettivo rimovibile che, senza alterare sostanzialmente anche la vista del monumento classico, permetta la conservazione di ciò che ne rimane, perché lasciato all’azione erosiva dello stesso ambiente, oltre che di un uso indiscriminato, dell’antico “koilon” non resterà più traccia.
