Gli avvisi di accertamento della TARI in cui si equipara la superficie calpestabile (cioè muri esclusi) di un immobile all’80% della sua superficie catastale (comprendente anche i muri divisori e perimetrali) sarebbero da ritenersi illegittimi secondo quanto statuito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 24866/2021.

In tale sentenza, si afferma che alle amministrazioni comunali è impedito di fare ricorso alla superficie catastale, anziché alla superficie calpestabile, fino a quando, per ogni singolo ente, non venga emanato un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate, che attesti la completa attuazione delle procedure di allineamento tra i dati catastali e quelli riguardanti la toponomastica e la numerazione civica interna ed esterna degli immobili soggetti al prelievo.

La sentenza è da mettere in relazione con la risposta all’interpello n. 306/2019, in cui l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, in tema di revisione del catasto, non è stata emanata la relativa norma di attuazione della legge 11 marzo 2014, n. 23 e, quindi, non è stato possibile emanare il provvedimento del direttore previsto.

Ne consegue che il Comune, non potendo utilizzare la superficie catastale per il calcolo della TARI, non può neppure utilizzarla per accertare l’eventuale imprecisione della dichiarazione del contribuente sulla superficie assoggettabile al tributo che, essendo quella calpestabile, non è deducibile con certezza da una percentuale prestabilita di quella catastale.

Si pensi ad esempio agli immobili storici, in cui i muri portanti e divisori occupano anche oltre il 30% della superficie catastale delle abitazioni, riducendo drasticamente la loro superficie calpestabile.

In conclusione, attualmente l’80% della superficie catastale può essere usato indicativamente ai fini dell’accertamento, ma non può essere equiparato esattamente alla superficie calpestabile, né tantomeno utilizzato a priori per sanzionare i cittadini per dichiarazione infedele sulla superficie calpestabile.